Stereotipi di genere nello sport

Donne e uomini nello sport: stop agli stereotipi di genere!

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L’eredità degli stereotipi

Il mondo dello sport, da sempre celebrato come l’arena delle prestazioni fisiche e delle sfide al limite delle capacità umane, è stato per lungo tempo terreno di una netta separazione di ruoli tra uomini e donne. Le radici di questa divisione affondano in secoli di pregiudizi culturali e stereotipi di genere, che hanno limitato l’accesso e la partecipazione femminile agli sport competitivi e professionistici. Ancora oggi, nonostante i notevoli progressi, le atlete devono lottare non solo contro gli avversari sul campo, ma anche contro un sistema che spesso le sminuisce e le relega a ruoli secondari. Allo stesso tempo, gli uomini affrontano pressioni legate alla mascolinità, che impongono loro standard di forza e aggressività spesso irrealistici.

Questo articolo vuole mettere in luce come gli stereotipi di genere continuino a influenzare il mondo dello sport, promuovendo un cambiamento culturale necessario per garantire a tutti gli atleti la possibilità di esprimere il loro talento senza vincoli di genere. Non si tratta di fare “oscillare l’altalena” agli estremi opposti, sminuendo l’importanza dello sport nel formare la personalità dell’individuo e gestire una sana competitività, ma di riportare il discorso su un “terreno di mezzo”, identificando dinamiche esagerate che andrebbero moderate per vivere al meglio la pratica sportiva.

Gli stereotipi che danneggiano uomini e donne

Uno dei principali ostacoli per una reale uguaglianza di genere nello sport è rappresentato dai persistenti stereotipi culturali. Tradizionalmente, l’idea di “atleta” è stata associata a caratteristiche come forza, resistenza e aggressività, tratti che nella nostra società sono storicamente attribuiti agli uomini. Di conseguenza, molte discipline sportive sono state dominate dagli uomini, e la partecipazione delle donne è stata vista come una “deviazione” dalla norma.

Nella storia dello sport, le donne sono state frequentemente considerate “meno capaci” rispetto agli uomini, con la convinzione che il loro fisico non fosse adeguato a competere ad alti livelli. Questo pregiudizio ha portato a discriminazioni concrete, come la limitazione della partecipazione femminile in alcune discipline o l’offerta di spazi e risorse ridotte rispetto ai colleghi uomini. Un esempio lampante di questo fenomeno è la maratona, vietata alle donne fino al 1967, quando Kathrine Switzer sfidò apertamente il divieto partecipando alla maratona di Boston.

D’altro canto, anche gli uomini subiscono pressioni legate agli stereotipi di genere. Essere un uomo nello sport significa spesso conformarsi a un modello di virilità, che prevede prestazioni fisiche estreme e l’esclusione di emozioni come la vulnerabilità o la paura, fino alla formazione di una fittizia distinzione tra “sport da donna” e da “uomini”.

La rappresentazione mediatica: il riflesso di un problema

Un altro fattore cruciale nella perpetuazione degli stereotipi di genere nello sport è la rappresentazione mediatica. Gli eventi sportivi maschili godono di una copertura mediatica e di investimenti economici nettamente superiori rispetto a quelli femminili. Questo sbilanciamento è particolarmente evidente nei grandi eventi internazionali, come le Olimpiadi o i campionati mondiali di calcio e basket. Un caso emblematico è il calcio femminile, che nonostante la crescente popolarità, continua a essere trattato come una variante minore del calcio maschile, inclusi gli ingaggi e i premi delle calciatrici professioniste. Ma il discorso si estende anche ad altre discipline dal tennis alla pallavolo.

Le donne nello sport, inoltre, sono spesso rappresentate in modo sessualizzato. Molti media tendono a concentrarsi più sull’aspetto fisico delle atlete che sulle loro prestazioni sportive, contribuendo a ridurre la loro immagine pubblica a oggetto di desiderio piuttosto che a quella di professioniste competenti. Oppure, a perpetrare la dicotomia “madre” e “atleta”, come se una donna non potesse essere entrambe le cose con successo.

Superare le barriere: il potere dello sport inclusivo

Nonostante i persistenti stereotipi, lo sport ha anche il potenziale per diventare uno strumento potente di inclusione e cambiamento sociale. Negli ultimi anni, sono stati fatti notevoli passi avanti verso la parità di genere nello sport, sia a livello professionale che amatoriale.

Uno degli esempi più significativi è il crescente movimento per l’equità salariale. Negli Stati Uniti, la squadra di calcio femminile ha vinto una storica battaglia legale contro la federazione calcistica nazionale, ottenendo un accordo che garantisce la parità di retribuzione con la squadra maschile. Questo risultato non solo rappresenta una vittoria per le calciatrici, ma è anche un segnale di cambiamento per tutto il panorama sportivo mondiale.

A livello istituzionale, molte organizzazioni sportive stanno implementando politiche di inclusione e uguaglianza di genere. Il Comitato Olimpico Internazionale, per esempio, ha adottato misure per garantire che ci sia un numero uguale di eventi maschili e femminili ai Giochi Olimpici (obiettivo raggiunto da un paio di edizioni), e ha incoraggiato la partecipazione di donne in ruoli di leadership all’interno delle federazioni sportive. 

Anche a livello di base, lo sport sta diventando sempre più inclusivo. Numerosi programmi e iniziative mirano a promuovere la partecipazione femminile agli sport fin dall’infanzia, abbattendo le barriere culturali e incentivando le bambine a cimentarsi in qualsiasi disciplina, dalle arti marziali al calcio. Inoltre, si sta lavorando per combattere gli stereotipi di genere legati agli sport “maschili” o “femminili”, incoraggiando ragazzi e ragazze a esplorare liberamente le loro passioni sportive senza timore di essere giudicati.

Un percorso condiviso

L’abolizione degli stereotipi di genere nello sport è una sfida complessa, che richiede un impegno collettivo da parte di istituzioni, media, atleti e società civile. Tuttavia, i benefici di uno sport più inclusivo e paritario sono evidenti: non solo offre maggiori opportunità a donne e uomini di esprimere il loro talento, ma arricchisce l’intero panorama sportivo, rendendolo più vario, dinamico e accessibile a tutti. Oltre ai movimenti portati avanti dalle atlete e dalle istituzioni, anche noi possiamo fare qualcosa: ad esempio, lasciando scegliere le nostre figlie lo sport che preferiscono, o insistendo a seguire determinati allenamenti che gli uomini snobberebbero, o anche facendo attenzione alla differenza tra esercizi “per donne” o “da donna”: certi allenamenti sono ottimizzati per il corpo femminile, che comunque non è una variante piccola del corpo maschile, e ha senso seguirli; ma, se qualcuno obietta che “uno sport è (culturalmente) da maschi o da femmine”, allora non tiriamoci indietro!

Bibliografia 

[1] Smith, Jenna, and Paul McCarthy. “Gender bias personality perception in stereotypically gendered sport.” Sport and Exercise Psychology Review 17.2 (2022): 76-84.

[2] Grace, Arianne N., and Thomas S. Mueller. “Gender bias in sport media: a critical analysis of Twitter content and the National Footbal

[3] Grappendorf, Heidi, and Laura J. Burton. “The impact of bias in sport leadership.” Women in sport leadership. Routledge, 2017. 47-61.

[4] I. Zamfir, S. Chahri, “Gender equality in sport”, European Parliamentary Research Service, Marzo 2024

[5] Ilaria Federico, Mario Bowden, Stéphane Hamalian, “Gender inequality in sport: The challenges facing female athletes”, Euronews, 27/07/2023

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